Sta lo sguardo fisso a cercare là dove, forse, l’impossibile preclude. Da bambina ricamava su fogli di carta e spesso si interrompeva, catturata com’era dal rovescio di quel ricamo, là dove i fili mostra(va)no un intreccio disordinato. Sembrava un’indecenza quel palesare i fili interrotti, le devianze necessarie, i nodi ricorrenti e lo scambio di colori, profuso e confuso. Niente più c’era della geometria del dritto, perfetta di quell’equilibrio a punto croce, teso a immobilità plastiche quasi eteree. Certo, la consegna assolta le permetteva l’ubbidienza premiata e così inconsapevole che del disegno solo il segno ne acquisiva il possibile e leggibile senso. Preso il modello, l’ armonia si mostrava ogni volta così ristabilita. Ma, forte l’attrazione andava là, in quell’altrove nascosto e indecente: lì sapeva di esserci o meglio si trovava quasi a proprio agio. Oggi, quella bambina non ricama più, ma ha appreso la lezione del ricamo o meglio cerca di farne sua la sostanza per sapere chi siamo e cosa vogliamo. Eccola che avanza: mentre gli altri dormono tranquilli e sereni, la Verità , comunque, incalza visibile ai suoi occhi e si pone manifesta, anche quando, o Italia dei miei stivali, tutto sembra alla superficie normale. La nostra storia non è in vendita, non è vero ciò che appare. Anzi, è proprio là dove la vita combatte, sommossa nella piena del tempo, demistificando la pretesa del progresso, crescita e sviluppo illimitato. Lo sguardo del rovescio ne racconta di Verità! E noi siamo questa: null’altro possa apparire certo nella narrazione identitaria del Sé.
giovedì 3 novembre 2011
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