sabato 8 novembre 2014

OMOLOGAZIONE

Piegare l'altro/a, a ferro caldo, senza sensibilità e riconoscimento, al verso indotto dall'ambito sovrano (come se fosse qualcosa di altro-da-noi) è una violenza, circoscritta e sottile, che forse anche inconsapevolmente si compie a scapito e a danno della struttura emotiva altrui sottoposta: tanto al fine inesistente come in un ingranaggio. Rispettare e tenere all'altro/a significa non solo capire ma vivificare negli atti tale comprensione. L'altrui schiacciato si scopre come inutile e inesistente, annichilito, nella macchina preposta o presunta tale. Come alibi dei ruoli e delle funzioni preposte. Perchè l'esercizio del potere invade anche nel piccolo e travalica e si palesa pur e fin dalla postura marmorea come granitica nel rinfaccio personale a muro di gomma del possesso delle informazioni e degli strumenti. Il linguaggio della violenza si compie sempre, spesso all'insaputa della (nostra presunta) coscienza, nei gesti, nelle pose e nelle parole. Qui (ci) si mostra: alla prova dei fatti (quotidiani). Come pure nei silenzi, nelle pause, senza rispetto: abbandoni di esclusione, di interesse e di condivisione. Perchè è vero che "immedesimarsi è proprio una virtù" (don Milani).
http://www.treccani.it/enciclopedia/patrizia-caporossi/