venerdì 6 febbraio 2015

La sorella di Parmenide. C’è sicuramente un intreccio sotterraneo che spesso trapela e spunta anche con segni persi, dimenticati e, di fatto, invisibili (o resi tali) da dover/poter cogliere e tutti ancora, di fatto, da decifrare. Tanto che non è forse lecito, per esempio, immaginare che lo stesso pensiero di Parmenide potrebbe essere stato veramente il frutto degli insegnamenti di una donna o meglio, come ipotizza fantasticamente Popper, di una sua sorella, per giunta (o necessariamente) cieca? "(…) Grazie a lei egli imparò a parlare. Lei gli insegnò la poesia e successivamente egli le recitò Omero ed Esiodo. Lei fu la sua guida etica ed egli dovette molto alla sua giustizia e disciplina. Lei fu per lui una dèa e fonte di saggezza. Lei gli insegnò del tutto inconsapevolmente che la luce non è pienamente reale (…). Ciò che lui e la sua sorella avevano in comune era il mondo materiale del tatto e il mondo illusorio della poesia. Da lei imparò che esiste il tangibile (materialismo). (…). Più grande di lui di almeno sei o sette anni, (…) cieca (…) amava il proprio fratello il quale la teneva in grande considerazione: ella fu la sua guida e punto di riferimento dopo la morte della loro madre" ("La sorella cieca di Parmenide: un racconto fantastico" in KARL R. POPPER, The World of Parmenides, Rutledge, Londra 1998, tr. it. di Fabio Minazzi, Il mondo di Parmenide, Frammento 3, PIEMME, Casale Monferrato 1998, p. 373-374). Allora, anche questa filosofia parmenidea, così assolutamente maschile, potrebbe contenere (e pur contiene) la traccia di una differenza, come risonanza femminile. Anche perché, poi, sono le figlie di Helios che conducono, nel Proemio, il carro di Parmenide non verso un deo, ma da Dike, una dea , appunto, che, convinta così dalle fanciulle stesse, avvia la (sua) rivelazione delle due Vie: Verità e Illusione. E tale dea, “perlomeno in alcune rappresentazioni, appariva bendata” , come d’altronde per tradizione anche altre dee. Tali raffigurazioni le mostra tutte imberbe, glabre ovviamente, prive della barba, profetica e patriarcale, ostentata invece nei ritratti scultorei, anche come segno unico ed evidente della virilità sapienziale o della possibilità simbolica di un poter essere e diventare naturalmente filo-sofi. (Patrizia Caporossi, "La sorella di Parmenide", Ancona 2012)