venerdì 27 novembre 2015

DISTINGUO. Sempre più necessita la distinzione tra le parole DIFFERENZA e DIVERSITA' (e il loro banal uso), perchè nella forma s'insinua la sostanza e s'insedia così spesso l'ovvietà grossolana e sempre violenta, mentre solo la (propria) cura-di-sè passa, in primis, attraverso quelle (nostre) parole che il corpo ospita o meglio (ri)veste, anzi le abita come naturali e tali non sono: "Interessante qui aver presente o fare (e, magari, rifare ogni volta), una sorta di ri-configurazione semantica, partendo dalla chiave/radice etimologica dei due termini, differenza e diversità, spesso usati a sinonimo, portatori, invece, di ambiti/campi di significato ben distinti e molto rivelatori (che avrò modo di rendere evidenti, nel praticarli, durante il percorso), perché sono possibili nuovi ascolti e nuove prospettive, funzionali e capaci di mostrarne la portata ermeneutica, epistemologica ed etica sul piano categoriale e concettuale: differenza, dal gr. dia-phora (portare attraverso sé, in sé, quel qualcosa che qualifica, specifica e distingue rendendo evidente la peculiarità e la ricchezza dell’essere, dalla primaria differenza, quella sessuale, che esplicita il genere/gender alla specie biologica/psicologica, naturale/culturale di appartenenza); diversità, dal lat. divertere, de-viare, cambiare strada, di-vergere, dividere (implica un giudizio di valore storicamente determinato, gerarchizzato ideologicamente che nel sistemare valuta, coprendo e chiudendo l’essere, rispetto a un unico criterio possibile, indiscusso e presunto oggettivo/neutro)" Cfr.: "Il corpo di Diotima. La passione filosofica e la libertà femminile", Quodlibet (2, 2011), pp.15-16.

lunedì 2 novembre 2015

"Mi parve bellissimo, con la sua faccia dove i tratti slavi, romagnoli, ebrei, avevano composto linee uniche, una maschera irripetibile. Il corpo fin troppo espressivo, da Mantegna e anche da povero, medioevale così forte che se ti afferrava i polsi per comunicare affetto ti stringeva tra due tenaglie. Dal suo atteggiamento timido, di riserbo e sobrietà, settentrionali, uscivano discorsi lenti, esitanti, con l'accento acerbo, spoglio, rugiadoso, acre, dei venti del Friuli" (grazie a Lina Magri)
QUARANTANNI (1975-2015)
I tuoi amici borgatari del Borghetto Prenestino erano pure i nostri amici che venivano a trovarci nel quartiere (borgata anch'esso) e come spesso andavamo noi nella loro baraccopoli in quella baracca apposita dove ci s'incontrava ad affrontar problemi e a stare così insieme ... tu qualche volta poi ci raggiungevi e anche a certe riunioni aperte del Comitato di Quartiere dove sempre silenziosamente te ne stavi come di sfuggita o di nascosto in un angolo in fondo ascoltando quasi accigliato dietro i tuoi occhiali scuri ... pensoso m'intimorivi e allo stesso tempo m'illuminavi perchè intanto spiandoti così ... apprendevo ascolto e rispetto e misura ... ma ecco ... poi come un fulmine a ciel sereno in quel novembre -mentre ero immersa nella scrittura della mia tesi- arrivò glaciale ... la notizia ... nelle baracche e nelle nostre case del quartiere prima ancora della tv e della stampa ... e allora con loro c'incontrammo piangenti e timorosi ma anche rabbiosi ... il mese dopo mi laureai con una tesi molto combattuta in Facoltà perchè approfondivo e presentavo un tema non previsto nè scientificamente allora accettato: le donne nel pensiero occidentale ... e ormai sono passati 40 anni .. il Borghetto con Petroselli fu finalmente sanato e oggi un grande parco lo ricorda ... la mia specialità sempre più è diventata la Filosofia e la Storia delle Donne con incontri pubblici che considero carichi pasolinianamente ...ciao ciao amico della tua presenza sottile sempre stimolante e vicina ancora ancora presente ... e guida pur in un mondo attuale così ... massacrato da superficialità e volgarità proprio umilianti ... per le nostre battaglie e sacrifici di allora nella speranza che la virtù potesse diventare vita vita vita ... recuperata al senso vero di sè. ("Confesso di aver vissuto", scriveva Pablo Neruda e non c'è dubbio di aver vissuto nella mia gioventù soprattutto una sorta di 'epopea' di luoghi e di persone ... di cui solo adesso ne colgo la portata piena ... a specchio nell'altrui stupore spesso incredulo che mi guarda sospettoso ... mentre io lì semplicemente e senza nessuno sforzo mi son nutrita ... nell'esser oggi forse l'ovvio maturato esito ... in questa attuale nostra epoca dove prevale l'insipienza arrogante di quei 'giovani turchi' -ogni riferimento è puramente casuale- che non ne hanno nè misura nè ascolto nè rispetto ... pensando che la 'modernità' sia mero sinonimo di violenta rottamazione -quasi negazionismo trasformista- per ingombro e senza tener conto così della -loro stessa- storia ... e di quelle 'radici' e di certi 'innesti' passati ... che ci fanno essere quel che siamo .. e allora, caro PPP, sicuramente è un prezzo alto a cui però non cedo e ... che mi fanno ripensare, invece, ai miei timori rispettosi di allora ... solo nel guardarti da lontano ... come teneri cinguettii di passerotti ... ma così vitali e scalpitanti ...)

mercoledì 14 ottobre 2015

IL RITORNO. La vita è un andare e un tornare come stamani all'alba le lampare sulla linea dell'orizzonte dopo una notte scura che anela casa col motore scoppiettante.

venerdì 6 febbraio 2015

La sorella di Parmenide. C’è sicuramente un intreccio sotterraneo che spesso trapela e spunta anche con segni persi, dimenticati e, di fatto, invisibili (o resi tali) da dover/poter cogliere e tutti ancora, di fatto, da decifrare. Tanto che non è forse lecito, per esempio, immaginare che lo stesso pensiero di Parmenide potrebbe essere stato veramente il frutto degli insegnamenti di una donna o meglio, come ipotizza fantasticamente Popper, di una sua sorella, per giunta (o necessariamente) cieca? "(…) Grazie a lei egli imparò a parlare. Lei gli insegnò la poesia e successivamente egli le recitò Omero ed Esiodo. Lei fu la sua guida etica ed egli dovette molto alla sua giustizia e disciplina. Lei fu per lui una dèa e fonte di saggezza. Lei gli insegnò del tutto inconsapevolmente che la luce non è pienamente reale (…). Ciò che lui e la sua sorella avevano in comune era il mondo materiale del tatto e il mondo illusorio della poesia. Da lei imparò che esiste il tangibile (materialismo). (…). Più grande di lui di almeno sei o sette anni, (…) cieca (…) amava il proprio fratello il quale la teneva in grande considerazione: ella fu la sua guida e punto di riferimento dopo la morte della loro madre" ("La sorella cieca di Parmenide: un racconto fantastico" in KARL R. POPPER, The World of Parmenides, Rutledge, Londra 1998, tr. it. di Fabio Minazzi, Il mondo di Parmenide, Frammento 3, PIEMME, Casale Monferrato 1998, p. 373-374). Allora, anche questa filosofia parmenidea, così assolutamente maschile, potrebbe contenere (e pur contiene) la traccia di una differenza, come risonanza femminile. Anche perché, poi, sono le figlie di Helios che conducono, nel Proemio, il carro di Parmenide non verso un deo, ma da Dike, una dea , appunto, che, convinta così dalle fanciulle stesse, avvia la (sua) rivelazione delle due Vie: Verità e Illusione. E tale dea, “perlomeno in alcune rappresentazioni, appariva bendata” , come d’altronde per tradizione anche altre dee. Tali raffigurazioni le mostra tutte imberbe, glabre ovviamente, prive della barba, profetica e patriarcale, ostentata invece nei ritratti scultorei, anche come segno unico ed evidente della virilità sapienziale o della possibilità simbolica di un poter essere e diventare naturalmente filo-sofi. (Patrizia Caporossi, "La sorella di Parmenide", Ancona 2012)