lunedì 19 dicembre 2016

IN O UN FINALE Qui diventa vitalmente denotativo, come una pietra miliare, riconoscere il timbro poetico del proprio Sè, anche quando sepolto e mai interrogato, ma sempre tratteggia la nostra strada con segni tutti da (ri)prendere e (ri)scoprire così quotidianamente nel lavoro minuto del cesellatore o meglio del restauratore. Perchè lì c'è scritta quella vita che si fa e che si scopre esistenza pur singolare ma speculare alla specie, nella dimensione culturale e sociale allocata: per segni indelebili anche quando (permangono) invisibili alla coscienza, anche per chi ne trascura la valenza compositiva. In questo senso gli umani compiono, vivendo, la loro opera d'arte come i mortali omerici cantati in espliciti volumi epici. (p. 85 in "L'invidia di Aristotele ovvero della vir-tù (femminile)", intr. di Arianna Fermani, affinità elettive editore, Ancona dicembre 2016). Foto storica: Roma 1948

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